CONTO – O MAESTRO – EM ITALIANO POR VANDA MASOTTO

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Uma surpresa naquele campo das bem agradáveis. Minha amiga Vanda Masotto leu O MAESTRO. O discutimos por e-mail – como outros textos também. Um dia ele apareceu em italiano. Gostei. Muito obrigado Vanda!


IL MAESTRO

Mi trovai su un edifício molto alto. Inquietante. Giù, la città nel suo complesso con i suoi abitanti, le strade, i topi, le vetrine, sogni lontani e le vie. Il tutto diede la realtà di un spàzio aperto e immenso, che raccorciava e abbateva l’anima con la sensazione tangibile del vuoto. Le nuvole passavano  vicino, accanto a me un’èstasi di forme e movimento. Il rumore di persone, automobili e sviamento del mondo arrivava fino a me ottenendo um finto senso di sicurezza, próprio al centro della terrazza.  Suoni spaventosi queli della non vita.
Ho visto Il Maestro, imponente sul cornicione dell’edificio e l’abisso  ai suoi piedi. Era a suo ágio. Sembrava che era Il  suo solito elemento. Si prepara per règgere. Un silenzio  formidabile pervase tutto con grandezza. Era alto,  indossava un costume di gala.  Aveva i capelli bianchi e era molto elegante. La bacchetta nella sua mano brillava. Comincio la sinfonia. Al’inizio era un’impercettibile vibrazione, ma di immensa bellezza, che faceva bene, attraverso  il mio corpo e  lo spirito in una dimensione di gioia, cosa  che accade raramente nella vita di un mortale. Crescendo lentamente divenne udibile. Molto bella. Sembrava che qualcosa di grosso si  porrebbe, sarebbe emerso…
La musica che lui conduce fa silenzio al rumoreggiare delle cose e la gente.
La musica venne da ogni parte, da tutti e domina l’ária, Il mondo, gli spazi.
Pure dalla città ai suoi piedi.
Fluiva dagli appartamenti, case, strade e dai passi di persone che camminano in fretta, senza sapere di certo dove andare e vano su un programma creato da loro alla disperazione di un altro giorno.
A poco a poco si  impone con momenti di gloria, tratti  vibranti e di tenerezza.  Bella, nobile. La musica era parte integrante del significato intrìnseco delle cose. La maestrava divinamente. Sentivo la melodia, non solo udita ma assunta. Creava periodi di sublime sofficità quase inudibili e poi forti, grandiosi.
Una esplosione di vita! Forse come una carica di cavalleria degli antichi guerrieri con lame scintillanti al sole. Corpo e anima acompagna la sinfonia. Ho pensato a Mahler. Si… Mahler, però molto piu sublime e ho capito  che questo è possibile. Poi come profumo, ho visto  – più di quanto udito – brani di poesia emozionante che vibra nelle cellule del mio corpo e che gioca con ogni terminazione nervosa. Non obbediva nel senso di titolarità, Il Maestro la maestrava e la musica diede il migliore e più bello della sua esistenza.  La creazione musicale, per èssere  migliore, più libera, deve avere un conduttore.
A volte diceva di um grande amore. Veniva la voglia di baciare  le labbra della moglie e compagna di vita.
Condusse senza limiti di tempo la musica che proviene da tutto. Mi sentivo attratto  dalla musica. In quel momento divento parte sua. La sua musica. Catturava l’intimo delle cose e della vita, e tornava alla vita. Non c’era spazio tra le note. Era tutto musica, anche i silenzi.
Il silenzio è un brano che ha potere. E con un accordo grande come il sole, finì e  applausi insorsero  dell’universo e della città.
S’inchinò ringraziando. Scénde dal parapetto com facilita, cammina a lunghi passi  verso di me e mi causa un timore rispettoso. Mi guardò a lungo. Ho visto nello sguardo una nobiltà che non lasciava dubbi sulla sua funzione. Il conducente. Sembrava un viso proveniente da  secoli, da molte acque.  Aveva impresso sulla fronte la forza e la serenità. Anche sul punto di svenire, ho piantato Il piede, gambe leggermente tirate e l’o fissai.
–  “Dov’è la tua musica, ragazzo?”
Chiese dolcemente.
– “Non ho la musica, signore.”
Mi guardò per un lungo período.
Cerca , sei ancora in tempo. C’è sempre tempo per la ricerca.
Era um comando.
E se ne andò. Non lo vide più . Volevo trovare la musica. Sentire la musica. Riprodurre la musica. Camminai da una parte all’altra. Andai al parapetto e ho pensato  salire. Da li avrei fatto musica. Il vortice, l’immensa altezza, l’orrore. Non riuscivo nemmeno  guardare.
Ho cercato qualcosa, una sedia  e ho visto una vecchia cassa di merluzzo bianco che era appoggiata all’ingresso della terrazza.  L’ho messa proprio al centro del limitato spàzio di concreto, nel bel mezzo del nulla. Meglio. Piu sicuro.
Ah, la bacchetta. Non ho visto persino un pezzo di legno o di ferro che potrebbe essere una bacchetta. Un edificio del genere senza la bacchetta…  Tornai alla cassa e strappai un pezzo di essa che gia era per metà sciolto. Andava bene. Però, una bacchetta quadrata… mai visto.
Niente da fare, tagliente come un rasoio… brutta. Gettai Il bastone e salii sulla cassa. Ora era un po ‘più alto della torre, guardai attorno chiusi gli occhi  e con le mani cominciai a condurre.
Niente musica. Nulla. Solo le cose di passàggio e il vento che ride di me.
Scesi con attenzione. Non volevo cadere e rompere una gamba o un braccio nel tentativo di condurre. Ho lasciato la cassa nel medesimo luogo.
Scesi verso il mondo in un ascensore con specchi. Mi guardai. Era anche bene, fisicamente. Ma non avevo la musica. Mi chiesi, mentre scendevo, perché il mondo aveva così tanti specchi? Cio che mostra? Migliaia di specchi che nei loro ventri aperti e trasparenti, rivelano persone che passano per la vita senza musica, senza vita, e guardano perplessi  il suo riflesso, Il cambiamento dei loro corpi dove non vogliono vedere le rughe. Svelando sorrisi che iniziano spontanei per poi  divenire anneriti. Specchi e specchi. Una dittatura di specchi! Essi ci guardano. Siamo loro prigionieri; siamo le loro anime, cambiando fronte a loro che un bel giorno non riflettono più niente . Vuoto. A mala pena rifletteranno qualcosa o un oggetto fatto in un momento in cui riteniamo sia di gloria.
Specchi piuttosto governano il mondo, non i capi che conducono gli uomini alla morte in guerre irrilevanti  per motivi sbagliati e  scopi commerciali.
Essi  riflettono e ridono con Il nostro riso che continua a ridere.
Fino a quando compare un’altra risata.
Qui di seguito, camminai per le vie  della città. Rumori, suoni, viadotti.
La gente che passa  tossendo, guardando, respirando. Odori. Gioia e scoraggiamento. Persone in direzione opposta ed altre che con loro combattono a causa di esso. Una musica cacofonica e fastidiosa. Mentre ascoltavo pensai, era l’unica espressione vera che la gente aveva di ciò che si potrebbe chiamare vita; e che poteva essere riconosciuta come onesta, e potrebbe migliorare, forse cambiare … Cominciai non guardare la folla ma le persone… In quel momento ascoltai,  tímida, dentro me, una nota della sinfonia del Maestro.

 

 

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